Assaggi di Opus Grain

È un produttore che non bevevo da tempo e nel corso degli ultimi anni l'ho trovato anche difficilmente in giro per locali. Poi è accaduto che da Opus Grain, confessandomi di nutrire stima per il taglio e l'oggettività delle degustazioni che scrivo su questo blog (circostanza di cui mi sono sentito onorato), mi hanno contattato per propormi una serie di loro assaggi per ricevere dei sinceri feedback su di un poker delle loro birre. Con il massimo dell'obbiettività, quindi, ho stappato e bevuto, ed alla luce dell'assenza di indicazioni di stili di riferimento, è stato anche un esercizio di degustazione.


Opus Grain nasce nel 2009, anno che corrisponde con le mie prime esperienze di degustazione, quando, in seguito a ricerche sul web dopo un loro assaggio ad un corso che frequentai, ricordo di aver per la prima volta preso confidenza con il concetto di beer firm. All'epoca Roberto Ciavarella e Domenico Spada, di base a San Severo (FG), producevano presso il primo impianto di Birra del Borgo, a Borgorose (RI). Le birre prodotte erano tre e sono rimaste, in numero, sempre fisse fino a pochi anni fa, quando fu aggiunta una nuova birra mente l'ultima arrivata è giunta solo pochi mesi fa.
Attualmente, però, da circa un paio d'anni le produzioni sono affidate alle capacità produttive e tecniche del birrificio Decimoprimo di Trinitapoli (BT), per cui ogni paragone con le birre del passate viene ad essere, per forza di cose, azzerato.


Cominciamo con la D'oro, birra da 5,5%alc.
La schiuma è bianca alquanto pannosa, le bolle a grana media, mentre la birra appare lapalissianamente di color giallo oro.
Al naso i primi aromi sono quelli di cereali, con qualche accenno di fenolico pungente che però non pregiudica una certa croccantezza. Leggeri aromi fruttati di pesca pian piano vengono fuori col salire della temperatura. In bocca pende verso un carattere maltato, con un corpo medio ed accenni di miele, caramella, infusi di camomilla. Resta alquanto rustica ed un po' ruspante nei malti, dove pecca un po' di pulizia e di piacevolezza. L'amaro finale appare quasi scarso e la gasatura non molto elegante.
La D'oro è una birra che per può andar bene, essendo poco elaborata al naso ma tutto sommato fatta bene. Potrebbe essere una golden ale, peccato per quelle venature un po' troppo dolci che sforano nei territorio del caramello.


La seconda è la Pink Piper, una delle ultime arrivate di qualche anno fa. Birra di 5,2%alc. che vede come ingredienti extra l'aggiunta di pepe rosa, bucce e fiori d'arancio, mentre nel grist di malti è presente anche grano Senatore Cappelli (chiaramente non maltato).
Nel bicchiere si mostra di un colore aranciato con una certa torbidità, mentre la schiuma è bianca con bolle grosse ed ha una persistenza discreta.
Al naso anche qui un certo speziato e fenolico salgono facilmente, con pepe rosa e pepe bianco, un ricordo di mimosa e di fiori gialli e purtroppo uno di rosmarino.
Bevendolo assale la lingua con un'imprevista nota sapida, con una carattere frumentoso di fondo acidulo (qui c'è lo zampino del Senatore Cappelli) e solo successivamente c'è l'impatto con un sollevante muro maltato che ricorda di che bevanda fermentata stiamo parlando.
Deglutendo ed espirando il retrolfatto regala ancora sfumature pepe.
In sostanza qui la piacevolezza non è ai massimi livelli, forse complice la data di produzione non proprio recente (circa 8 mesi fa). Le smagliature a me evidenti sono quelle sulla base di malti, ho come l'impressione che il lavoro sulle spezie sia a posto così e ne gioverebbe da una birra che sia più spostata verso il tocco acidulo di una blanche o piuttosto verso secchezza e brio di una saison. Così com'è risulta poco godibile, prima ancora che poco identificabile.


I miei assaggi proseguono con la Vainell, ultima arrivata da 6,5%alc., realizzata con farro e carrube (in purezza ed in forma di decotto), birra già intercettata qualche mese fa e di cui rimasi più che sorpreso.
Un colore ambrato con sfumature arancio la presenta nel bicchiere, con una schiuma bianca, copiosa ma poco persistente. I primi aromi sono di spezie, fiori di campo, scorza d'arancia, sughero, e poi ancora qualche terroso e cacao dolce in polvere, senza dubbio imputabile alla carruba.
Ai primi sorsi conferma le impressioni dell'aroma, con un fondo biscottato e poi una certa acidità che si integra col contesto maltato solo in parte, pagando il resto in finezza.
Il finale è dolce di arancia, ripulito da amaro lieve.
La birra non è affatto male ma non eguaglia l'ottimo ricordo del precedente assaggio. In termini di stili, potremmo accostarla banalmente ad una saison, solo ed esclusivamente per il tocco speziato.
Se devo esprimermi a proposito di una caratteristica mancante, direi la secchezza. Da questo punto di vista ha ancora del potenziale, a mio parere. L'ingrediente extra, la carruba, in questo tessuto lo sento ben inserito, ma chiede più spazio la beverinità.


Ultima birra del poker è la A'Rosc, birra di 6,0%alc. che nel bicchiere si presenta più ambrata di tutte le altre, ma non con un colore così carico come dal nome ci si potrebbe aspettare (sarebbe "la rossa").
La schiuma è bianca, pannosa e con grana a bolle fine: tra le quattro mi sembra la più persistente.
Cercando di cogliere le fragranze, saltano al naso sicuramente caramello e zucchero candito, qualche nota di biscotto e delle timida frutta disidratata come uvetta e dattero. Non conferma tutto in bocca, sostanzialmente facendo venire a mancare il terreno (di malti) sotto ai piedi.
La carbonazione è vivace ma è il corpo scarso quello che più smorza gli entusiasmi. Poco intense le sensazioni di cereale, timido svetta qualche tostato ma questa coperta corta mette a nudo una presenza di diacetile difficilmente ignorabile nel finale.
Potrebbe essere una strong ale di ispirazione inglese per il grado alcolico, mentre se l'accostassimo al mondo delle dubbel la tessera mancante sarebbe quella ricchezza maltata e quel corpo di cui dicevo.



Queste le singole impressioni sulle birre. Complessivamente posso dire che a livello produttivo, sicuramente si tratta di birre senza difetti di pulizia o igiene, per cui risultano tutte gradevoli.
Per quel che riguarda il bilanciamento finale, la gamma si mostra molto incline ad offrire sorsi abboccati e tendenzialmente dolci, con diversi zuccheri residui e senza una evidente e gradevole secchezza.
Le speziature sono anch'esse parche, nel caso della Vainell mi sta bene la mano leggera sulla carruba ma forse per quanto riguarda la Pink Piper si può osare di più. Stessa cosa per le luppolature, che al netto dei quantitativi maggiorati dettati dalle mode del momento, avrebbero bisogno di essere ritoccati per spezzare un blocco maltato fin troppo evidente.
Azzarderei anche qualche consiglio sull'uso di malti di qualità più alta, dato che in birre come queste dove si è scelto di rendere protagonista il cereale, questo non viene avvertito in modo esplosivo nè in aroma nè (ancor meno) in bocca, dove le sensazioni si fermano ad un livello di profondità e di intensità di media penetrazione.
Sulla secchezza mi sono già sbilanciato e credo sia quanto mai essenziale per la maggior parte delle tipologie birrarie a cui queste produzioni mi sembrano ispirate, vale a dire le belgian ale in diverse declinazioni.

Ad ogni modo, vedo un buon potenziale ed una certa sobrietà, che non va snaturata ma andrebbe solo accompagnata da questi miglioramenti qualitativi, sgrezzandone qualche lato informe per tirare fuori un carattere che senz'altro c'è.

Con l'augurio di cogliere altre soddisfazioni dalla loro attività produttiva, colgo l'occasione per ringraziare Domenico e Roberto per avermi offerto l'opportunità di riassaggiare le loro produzioni e per aver avuto la voglia di mettersi in gioco.

Cheers!

Commenti

  1. Ciao,

    vista la mia passione per la birra e visto che il tuo blog è piuttosto figo, ti ho nominato per il Liebster Award 4.0
    Trovi tutto su padriduri.com

    Marfi!

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