Bere a Vilnius tra kaimiškas, keptinis, tamsusis

Il viaggio per le repubbliche baltiche era una fissa che volevo prima o poi esaudire. L'attrazione verso luoghi così misteriosamente ambiti dalle due aree del mondo è qualcosa che mi ha spinto a cercare di comprendere, alla fine, che aria si respirasse ora che i processi storici di sedimentazione stanno restituendo a questi popoli una propria identità ed autonomia.
Mettiamoci anche l'interesse risollevatosi in questi anni per le birre dell'area per giustificare un viaggio che ha avuto tutti i presupposti per essere ricordato.

Parto con ordine, ovvero da Vilnius, Lituania.
Difficilmente si pensa alla birra di qualità quando si parla di luoghi ameni come questo territorio sul mar Baltico, ma già nel 2011 si cominciava a sentire parlare di stili tipici lituani e di questo angolo di Europa come ultimo scrigno di tesori birrari.


Questi piccoli birrifici rurali, rimasti in piedi soprattutto nell'area di Birzai, a nord del Paese, sono ben distanti dalla capitale Vilnius, a sud-est. Sono piccoli birrifici rurali, che in passato erano anche tecnicamente illegali dato che il regime comunista sovietico aveva nazionalizzato tutta la produzione ed addirittura standardizzato le ricette e le tipologie di birra disponibile.

Con l'avvento della nuova indipendenza dopo il crollo dell'Unione Sovietica, questi birrifici hanno avuto l'occasione di ricostituirsi, rimettersi in regola secondo i principi della nuova repubblica lituana, pur restando con impianto ed attrezzatura originari: fermentazione a tino aperto, lieviti altamente attenuanti e alte temperature di fermentazione. Si tratta di colture ormai talmente riutilizzati dai birrifici stessi da contenere ceppi mutati, che hanno preso strade diverse dai classici Saccaromyces, come recentemente stabilito in seguito ad analisi e studi, poco inclini allo sviluppo di fenoli (POF-, ovvero Phenolic Off Flavour Negative).

La prima di questa birra la bevo allo Snekutis, un pub di Vilnius che in realtà ha ben tre sedi, di cui una molto caratteristica essendo simile ad una capanna, completamente fatta di legno in ogni dettaglio sia interno che esterno. È un posto noto per avere una selezione di birrifici lituani tradizionali (diremmo farmhouse, col significato di rusticità, discontinuità e produzione di dimensioni contenute).


Finalmente trovo alla spina una delle birre di cui avevo letto solo cose buone sul blog di Lars Garshol. È la kaimiškas (una sorta di farmhouse ale) del birrificio Jovarų Alus, gestito dalla signora Aldona Udriene, nota come la "regina dei birrai farmhouse lituani" e che proviene da una famiglia di birrai e decide di rimettere su un birrificio nel 1995. La birra pare abbia una ricetta di circa 130 anni ed è prodotta nella vecchia maniera: mosto non bollito, fermentazione a 29°C per due giorni e maturazione per altri cinque.


La birra si chiama anch'essa Jovaru Alus ed è un'esperienza nuova avvertirne gli aromi: i fenoli sembrano esserci ed anche abbondantemente, dato che viene fuori un carattere speziato di cannella, cardamomo e chiodo di garofano, con quest'ultimo parecchio assonante con quel profilo tipico di una weizen. In bocca è secca, veloce, ma sorprendentemente morbida e si caratterizza per un sapore di miele e di frutta cotta.


Ho scoperto da questa birra la coesistenza di queste due sensazioni tattili solitamente contrastanti: da una parte secchezza con pochissimi zuccheri residui avvertibili, dall'altra corpo e morbidezza. Le ragioni di questa particolarità, a detta di Garshol, possono risiedere nella mancanza di bollitura e nella conseguente mancata precipitazione di proteine durante quella fase, le quali si ritrovano poi nel tessuto della birra e che conferiscono quel particolare corpo. Altro effetto collaterale e compatibile con questa spiegazione è quella opalescenza molto evidente, data sempre da proteine probabilmente.


Merita una postilla questa birra ed il birrificio, la quale birraia è nota alle cronache per la sua posizione di difesa della cultura birraria lituana e dei lieviti gelosamente passati di generazione in generazione ed ora, complice l'inaspettato interesse, sono contesi anche da aziende che li propagano e li commercializzano. Qualche giorno fa, infatti, è stata annunciata dagli americani di Omega Yeast la release del lievito di Jovaru Alus con tanto di marchio ™, segno che la battaglia per la proprietà è stata in un certo senso vinta.

Decido di dirigermi verso un luogo fuori dal centro storico medioevale, tra l'altro bellissimo e quasi simile ad alcune città tedesche. La destinazione è Alus Namai: sembra di entrare in un disco-club, se non fosse che fortunatamente ci vado in pieno orario pomeridiano, dove oltre me ci sono solo pochi uomini a bere.


Ci vado sotto precisa indicazione di Garshol perchè pare che sono qui nella capitale ci sia una keptinis, un altro stile tipico lituano. Conoscere questa tipologia è alquanto spiazzante, perchè si tratta di una birra prodotta con una particolare tecnica: dopo l'ammostamento classico di malti chiari (di orzo, segale, avena e forasacco dei tetti, una graminacea spontanea!) la miscela di acqua e malti viene raccolta in canestri o trasferita in teglie e posta direttamente...in forno!


Sembra alquanto bizzarro, ma invito a leggere ancora una volta un post del buon Garshol per rendersi conto della realtà: nei fatti, la birra sottoposta a 350-400°C non ha più bisogno neppure di bollitura e la luppolatura da amaro viene effettuata a parte per poi unire il frutto di questa estrazione alla birra poco prima di raffreddare ed inoculare. Una tecnica che non avevo mai sentito prima di affacciarmi nella lettura e nella scoperta di questi stili e che è sicuramente un unicum nel mondo birrario. Pare che le ragioni della produzione di birra scura in questa zona d'Europa siano molto collegate ai riti pagani in cui si contrapponeva una birra scura al vino rosso della cristianità.
Sta di fatto che la birra che ne viene fuori molto scura, pur partendo da malti chiari.


Chiedo questa Kaimiškas di Ramūnas Čižas (come nella cultura tedesca, i nomi delle birre sono omonimi di stili, ma qui ci si è accontentati del generico nome da farmhouse piuttosto che dello stile specifico). Con mia grandissima sopresa, la birra è servita addirittura a pompa: un aspetto forse moderno, forse dettato dallo stesso birraio o forse una licenza poetica della birreria. Ma la birra servita così è semplicemente perfetta, nonostante non si riesca a vedere nel dettaglio il colore ma solo la schiuma beige pannosa e delicatamente evanescente.


Aromi finemente tostati, di cacao e caffè in polvere. Carbonazione bassissima per il servizio a pompa, a temperatura ambiente, quasi calda. In bocca si apre nei suoi toni nocciolati profondissimi, con punte di castagna e dattero, fine caramello. Secca, veloce ma anche questa incredibimente vellutata. Assenza totale di difetti nonostante la stramberia produttiva ed il delicato servizio. Difficile descriverla con i canoni classici delle craft beer moderne, ma credo la si possa accomunare molto facilmente ad una tipica brown ale inglese alla vecchia maniera.

Altro posto degno di nota è il Bambalyne, in una zona alquanto centrale di Vilnius.
Si tratta di una sorta di beershop con mescita e si trova in un locale ipogeo: tetro, buio e ricchissimo di birra, un bunker con vetrine assortitissime di birre craft moderne e di qualche birra tradizionale.


Tra queste ultime, non è tutto oro colato: bisogna attentamente distinguere tra quelle apparentemente ancora tradizionali ma solidamente industriali e quelle realtà di caratura più piccola ed alquanto attente alla tradizione.
Mi ero segnato diverse birre tradizionali e rappresentative degli stili lituani e cerco questi nomi nelle vetrine, oltre che chiedendo allo staff.
Riesco a beccare un'altra keptinis, stavolta prodotta da un birrificio lituano a metà tra passato e modernità. Si chiama Dundulis e producono birre in due impianti: nel primo, più tradizionale, si brassano birre di stili lituani, nell'altro più moderno birre luppolate ed altro. La loro Keptinis omonima è davvero diversa dalla precedente: tostati morbidi ma intensi, per nulla graffianti nell'astringenza, con note di nocciola, cola e panificato. Le differenze si avvertono nel verso della modernità relativamente alla keptinis bevuta precedentemente: c'è qualche assonanza con le birre craft attuali, forse per via del lievito qui poco caratterizzante, oserei dire neutro, rispetto a quel sapore un po' sporco dovuto a lieviti da panificazione usati abitualmente dai birrifici che fanno della tradizione l'unica via possibile.


Mi manca ancora uno stile da incontrare, ed è quello delle tamsusis: il nome indica semplicemente una birra scura e si tratta per lo più della stessa situazione delle Kaimiškas, ovvero una birra tradizionalmente prodotta con lieviti da panificazione propri, senza bollitura. È un nome che viene affibiato anche a produzioni industriali che siano scure, anche senza che siano prodotte alla vecchia maniera: come sempre, quando il nome di uno stile incarna già il nome del colore della birra, si crea questo tipo di ambiguità.
Bevo, quindi, la Varniukų di Davra: manca nel formato più piccolo da 0,5 litri, mi dice la ragazza dello staff, e allora prendo la bottiglia grande, da 1 litro...! Il costo della birra è talmente basso (2-3 €/l) che, anche non bevendola tutta, non ci si sente in colpa!


Ecco, qui si avverte un po' di quel diacetile tipico di produzioni sia artigianali che industriali del panorama est-europeo: aroma burroso che si ritrova anche in bocca, anche se poi si amalgama e si confonde con un gusto di caramello molto spinto e profondo. Sapori che non stringono la bevuta, che non la svantaggiano per nulla, facendo trasparire sfumature dello stesso caramello ma bruciato ed aggiungendo parecchi altri piaceri: sbuffi potenti di fico secco, scarsissima luppolatura ma birra secca nel complesso. Finisce che poi quest'ultima caratteristica regola il sorso verso la velocità e fa di questa birra un'altra tappa da seguire per comprendere a pieno la filosofia della birra in questa terra.


Ultima fermata di questo forsennato tour in giro per la capitale è lo Spunka: locale spartano, essenziale, minuscolo e costruito in un angolo di città ma che potrebbe essere locato tranquillamente in una foresta lituana per la massiccia presenza di legno, la ruvida atmosfera, l'assenza totale di inutilità e la grande aria verace.


Solo birre lituane alla spina, poche luppolate e tanta tradizione. Ritrovo Dundulis e nello specifico una birra fortemente speziata con ginepro, ingrediente molto presente nelle produzioni di raw ale del baltico: sarebbe un altro filone stilistico che però non ha un termine locale con cui viene identificato, se non a posteriori da parte dei birrifici più spigliati come questo con un juniper ale.
Mai assaggiato una birra dove il ginepro fosse così presente nell'aroma e nelle resine in bocca, senza le caratteristiche negative che porta con sè come astringenza e sapore amaro. Fatta alla grandissima questa Juodaragio, con il massimo che si potesse esprimere con il ginepro e dove il malto leggermente mielato riesce a contrastare e supportare tutta la potenza della spezia.


Nota di merito per questo birrificio, che mi sembra il nome principale lituano nella proposta di stili tanto rispettosi della memoria storica del mondo birrario lituano quanto innovatori degli stessi stili, con una porta sempre aperta alla modernità. Una prova che le due aree possono tranquillamente coesistere e perfino sovrapporsi in certi punti.

Vilnius è stata una bellissima esperienza sia puramente turistica che prettamente birraria.
Chi pensa che qui si beve male commette due errori, perchè sottovaluta e/o manca nella conoscenza corretta del panorama, che certamente non è evidente e sotto gli occhi di tutti. Il beer hunting qui ha davvero significato, ma per fortuna: bisogna andarsi a cercare le birre giuste nei posti giusti, ma preferisco questo rispetto alla birra artigianale moderna omologata e alla birra industriale onnipresente e sbattuta in faccia in ogni luogo.


Il movimento craft moderno qui sta ancora battendo i primi colpi (vedi festival VAF in programma tra qualche settimana, uno dei primi ma in ritardo a quelli di Riga e soprattutto Tallinn)

Avrei voluto compiere un tour dei birrifici, che parte da Vilnius e va alla volta della zona di Birzai in giornata, visitando cinque birrifici con relative degustazioni con birrai: per chi avesse voglia e tempo, c'è il sito alutis.lt.


Se potrà diventare la nuova frontiera del beer hunting non so, ma sicuramente non ci si annoia di lager industriali.

Cheers!


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